2016-07-13 17:15:00
La Cisl Scuola dei Laghi da tempo ha inoltrato ricorso , per un considerevole numero di propri iscritti, per impugnare l'illegittimità della reiterazione dei contratti a termine oltre i 36 mesi. Ricordiamo che il ricorso è stato reso possibile dal pronunciamento della Corte europea che ha messo in mora il Governo italiano prprio per la "consolidata abitudine" di  rinnovare ripetutamente i contratti a termine anche per decenni consecutivi.
Maddalena Gissi, segretaria generale Cisl Scuola, interviene sul tema e precisa che, in attesa di leggere il testo della sentenza con cui la Corte Costituzionale è intervenuta sulla reiterazione dei contratti a termine nella scuola, sancendone l’illegittimità,  sono già possibili alla luce di quanto comunicato dal Palazzo della Consulta in data 12 luglio, alcune considerazioni:
  • la prima riguarda il personale ATA, di cui diventa ancor più urgente e indispensabile sbloccare le assunzioni. Lo stiamo chiedendo da tempo, questa sentenza dimostra che si tratta di una richiesta fondata su ragioni incontestabili di opportunità e di legittimità. Un atto che suonerebbe giusto riconoscimento per una fascia di personale, totalmente ignorata dalla “Buona Scuola”, le cui funzioni, fondamentali per il buon andamento del servizio scolastico, meriterebbero da parte di tutti ben altra considerazione.
  • la seconda riguarda il personale docente, perché se il piano straordinario di assunzioni della legge 107 viene definito “misura riparatoria”, bisogna dire chiaro e forte che quella presunta “riparazione” non ha minimamente prodotto alcun effetto per le decine di migliaia di precari ignorati dal piano, docenti che da anni continuano a coprire con contratti a tempo determinato posti indispensabili per il normale funzionamento della scuola e per i quali proprio la norma della 107 sul divieto di reiterazione dei contratti incombe invece come una vera e propria spada di Damocle.
Questa la realtà vera, che nessuno può consentirsi di ignorare, se si vuol evitare il rischio di un uso strumentale della sentenza che finirebbe per generare ulteriori ingiustizie, anziché porre rimedio a quelle prodotte da un perdurante abuso nei rapporti di lavoro precario.

 

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