2016-08-07 16:45:00

C’era da aspettarselo che qualcuno tacciasse di vittimismo i docenti che lamentano in questi giorni di essere stati assegnati, nelle operazioni di trasferimento, molto lontano dal proprio luogo di residenza. Per chi lancia queste accuse, quelli che vengono denunciati non sarebbero disagi meritevoli di attenzione, ma solo la rivendicazione di un ingiustificato privilegio, quello di “avere il lavoro sotto casa”. Premesso che non abbiamo bisogno che ci si venga a spiegare quanto sia drammatica l’emergenza lavoro con la quale ci confrontiamo ogni giorno, facendone un’assoluta priorità del nostro impegno: i casi che abbiamo di fronte non sono quasi mai quelli di venticinque – trentenni che, come tanti altri giovani della loro generazione, sono pronti a muoversi ovunque sia necessario per avere un’occupazione. Si tratta invece per lo più di persone quasi cinquantenni, la cui famiglia non è detto sia in condizione di poterle agevolmente seguire nelle loro peregrinazioni; persone residenti magari a Roma, assunte lo scorso anno nelle Marche e trasferite quest’anno a Milano. Quella descritta non è una sfortunata eccezione, è la condizione diffusa che stanno vivendo migliaia di persone, grazie al modo in cui è stato pensato e gestito il tanto decantato piano straordinario di assunzioni lo scorso anno. Questa la situazione. Un costo umano ed economico non irrilevante, un disagio grave, non un capriccio, a cui è doveroso tentare di porre rimedio: non darebbe prova di onestà intellettuale e politica chi pensasse di cavarsela ricorrendo, in modo banale e strumentale, al “c’è di peggio”. 
Ma c’è un secondo aspetto che diventa il primo in ordine di importanza, ed è quello della regolarità delle operazioni di trasferimento: perché chi si ritrova a centinaia di chilometri da casa, avendolo magari messo nel conto delle possibilità, deve poter essere certo che il suo destino non dipenda da un sistema informatico impazzito, o più plausibilmente non “istruito” in maniera corretta. 
Non è vero ciò che la ministra Giannini si affanna a ripetere, smentita dai suoi stessi uffici che hanno ammesso la presenza di anomalie, imputandole al sovraccarico di pratiche da gestire: non è vero che il sistema ha operato in modo coerente con i criteri definiti nel contratto sulla mobilità. Non è vero, e ne possiamo fornire ampia documentazione. Sono tanti, troppi gli errori che si traducono in una non corretta applicazione di quanto quel contratto stabiliva. Un contratto che non poteva ignorare la legge 107, ma che era riuscito in gran parte ad attenuarne gli aspetti negativi, ampliandone in modo significativo alcuni principi di tutela. È troppo chiedere che quel contratto non subisca stravolgimenti in fase di applicazione?
Discorso a parte meritano quei demagoghi che abbiamo visto all’opera in qualche piazza in questi giorni; squallidi figuri che si qualificano indegnamente come sindacalisti senza avere mai speso una goccia di sudore per tentare di risolvere i problemi della gente, capaci solo di cavalcarli. In questo sì, veri specialisti. Quello di alimentare false aspettative per addossare poi ad altri la colpa delle proprie promesse non mantenute è un gioco irresponsabile che non ha niente da spartire con l’azione sindacale. Li lasciamo al loro repertorio di isterie e insulti, noi continuiamo a lavorare perché si faccia chiarezza e giustizia sulla gestione delle operazioni, e in ogni caso perché chi è stato destinato lontano dalla sua famiglia possa avere un’opportunità di riavvicinamento, da rendere disponibile sfruttando ogni margine di flessibilità che l’organizzazione del servizio può consentire. 
Ce lo stanno chiedendo in queste ore le tante persone che affollano le nostre sedi territoriali, dove i nostri dirigenti affrontano un vero e proprio tour de force con generosità straordinaria. Continuiamo intanto a incalzare il Governo e il Ministero, perché la situazione che abbiamo di fronte è insostenibile ed esige interventi immediati, efficaci e risolutivi.

Roma, 5 agosto 2016

Maddalena Gissi, segretaria generale Cisl Scuola

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